Irpef e cedolare alla prova dell'acconto, entro il 30 novembre
Sarà meglio cominciare a dare un'occhiata al calendario perchè gli acconti di novembre piano piano si avvicinano.
Entro il 30 novembre, infatti, va stretta la cinghia su Irpef e cedolare secca. Coloro che hanno presentato il modello 730 o Redditi (ex Unico) 2018 riferiti al 2017 sono potenzialmente tenuti al versamento degli acconti, che seguono regole e tempistiche analoghe.
Ovviamente, a seconda di quale sia stato il modello utilizzato, cambierà anche la modalità di versamento.
I contribuenti del Redditi pagheranno infatti con F24, indicando nell’apposita sezione “Erario” il codice tributo “4034” nel caso dell’Irpef, oppure il codice “1841” per la cedolare secca (entrambi i codici, comunque, sono relativi alla seconda o unica rata).
Diversamente i contribuenti che hanno fatto il 730, si vedranno decurtare l’importo dovuto direttamente dalla busta paga, se provvisti di un sostituto d’imposta, altrimenti, in caso di 730 senza sostituto, anche loro saranno costretti a usare l’F24. È altrettanto naturale che coloro i quali abbiano cominciato a percepire un reddito solo dal 2018, e che dunque per il 2017, in assenza di imposte, non hanno presentato nessuna dichiarazione, sono automaticamente esclusi dall’adempimento.
Come si calcola
Vediamo allora nel dettaglio quali regole vanno seguite.
Com’è noto, vi sono due strade per calcolare l’importo dovuto: o il metodo storico, quello più sicuro e consigliato, oppure il metodo previsionale, molto più incerto e rischioso.
Chi paga con F24 adotterà per proprio conto una soluzione o l’altra. Chi invece dispone di un sostituto d’imposta, qualora ritenesse che al 31 dicembre 2018 il suo reddito risulterà inferiore a quello conseguito nel 2017, avrebbe già dovuto chiedere entro il 1° ottobre scorso di farsi calcolare in busta paga un acconto minore rispetto a quanto riportato nel prospetto di liquidazione 730-3.
Partiamo dal metodo storico. In questo caso va fatto riferimento all’imposta dovuta per l’anno precedente, al netto di oneri deducibili e detraibili. Tale valore è sì fondamentale per potersi regolare sulle tempistiche di versamento, ma più in generale per capire se l’acconto sull’anno in corso sia dovuto o meno. Se infatti l’imposta finale versata per il 2017 è risultata inferiore a 51,65 euro, è certo che l’acconto per il 2018 non dovrà essere pagato, altrimenti, in presenza di un’imposta superiore a tale soglia, andrà certamente pagato (nella misura del 100% della stessa imposta dovuta per il 2017).
Posto allora che l’acconto sia dovuto, se l’imposta del 2017 è risultata inferiore a 257,52 euro (ad esempio 150 euro), l’acconto per il 2018 (equivalente appunto a 150 euro) potrà essere versato in un’unica soluzione entro il 30 novembre. Se invece l’imposta del 2017 è risultata superiore a 257,52 euro (ad esempio 300 euro) l’acconto per il 2018 è dovuto in due rate: la prima, nella misura del 40% (equivalente a 120 euro), dovrebbe essere già stata versata entro il 16 giugno scorso, mentre la seconda, nella misura del restante 60% (cioè pari a 180 euro), dovrà appunto essere corrisposta entro il 30 novembre.
Questo in sostanza è il metodo storico, facile da calcolare perché riferito a una base certa, ovvero l’imposta dell’anno prima.
Viceversa col metodo previsionale, il rischio di commettere degli errori, e dunque di esporsi a delle sanzioni, è sempre in agguato, dal momento che il calcolo viene elaborato non più in funzione dell’anno passato, ma “in previsione” dell’imposta definitiva che si presume sarà dovuta per tutto il 2018 (dichiarazione 2019). Ciò implica, di fatto, una doppia difficoltà: non solo quella di arrivare a prevedere il reddito annuo, ma anche l’imposta che ne deriverà, tenendo conto sia degli oneri deducibili che delle spese detraibili.
Fonte: mycaf.it, di Luca Napolitano.