Temete facebook ma non youtube? I rischi del web
Opportunità e rischi del web e dei social network per la crescita e la maturazione dei nostri figli.
Organizza il circolo Acli di Cornuda il 04 maggio 2015.
Interviene il prof. Mariano Diotto, direttore del dipartimento di comunicazione presso l'istituto universitario salesiano di Venezia.
Evento realizzato con risorse del 5X1000 dell'Irpef, anno 2012.
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Pensate che sia facebook il social più pericoloso? Siete preoccupati delle foto che pubblicano su Istagram o di quello che scrivono nei blog? Bhè, considerate che non sono nemmeno gli strumenti del web più pericolosi, non fosse altro che per il fatto di essere attentamente controllati dalla polizia postale.
Piuttosto, avete mai veramente ascoltato la musica che anche i giovanissimi scaricano da you tube? O guardato i video che la accompagnato? O siete mai stati accanto a loro mentre giocano con qualche videogioco, anche scaricato nei vostri smartphone?
Parola di Mariano Diotto, direttore del dipartimento di comunicazione presso l'istituto universitario salesiano di Venezia: “State attenti, dovete conoscere cosa usano i vostri figli, ma non sottovalutate alcune “attività” che i ragazzi abitualmente svolgono su internet perché, oltre le informazioni che già avete, è necessario aprire gli occhi, con la consapevolezza che non tutti i mezzi di comunicazione social sono a priori sbagliati. Piuttosto vanno conosciuti e usati con intelligenza”. Per certi versi, accompagnati nell’educazione, rappresentano occasioni di sviluppo per la persona.
Alcune indicazioni in linea generale.
“Non fate la guerra ai vostri figli su questo fronte, la perderete. Piuttosto state loro accanto, non lasciateli soli, educateli.
Aiutateli a comprendere che lasciare traccia di sé online è comunque mettere le proprie informazioni in una piazza virtuale – che poi per loro in realtà è reale – dove niente si cancella mai in modo definitivo.
I ragazzi devono imparare che avere maggiori dati non significa per forza comunicare meglio; piuttosto è necessario saper scegliere le informazioni corrette”.
Ma perché a nostri figli piacciono tanto? Perché sono interattivi, nascono e muoiono con facilità, richiedono una fedeltà, hanno un linguaggio stringato (all’opposto delle “predicozze” di mamma), amplificano le relazioni formali.
“Vi preoccupate di facebook ma non della musica che ascoltano e che ha un potere fortissimo, veicolando messaggi e disvalori pericolosi per loro e per la società, di tipo sessuale, di intolleranza, di violenza. Idem per i videogiochi”. Dunque, consiglio di Diotto e non solo, vanno messi dei filtri sugli smartphone, così come evidentemente sui computer.
Nei social “la pericolosità aumenta con Skype, dove ci si filma mentre si parla e non si può conoscere l’utilizzo deviato che si può fare dei video; con ASk.fm, spazio virtuale in cui ci si scambiano domande evidentemente molto esplicite e provocatorie; con whatsapp, che in sé come strumento non si può considerare pericoloso se non per il fatto che ciò che si invia si deposita nel telefono di chi riceve e da li non si può cancellare; con le chatroom”.
Quali vie allora percorrere? “Dovete tener conto di alcune questioni: i ragazzi attraverso i social fanno esperienze e questo senza dubbio comunque li arricchisce; combinano le conoscenze; sanno scegliere quello che a loro è più consono; coloro che hanno vita sociale “normale” – praticano uno sport, frequentano i gruppi parrocchiali o gli scout, hanno degli amici – usano meno i videogiochi e facebook; conoscono i pericoli perché a scuola e i media ne parlano”.
E, alla fine, qualche consiglio: “Lasciategli il diritto di sbagliare, permettetegli di vivere delle frustrazioni ed educateli ad affrontarle; devono fare esperienze anche negative, benché non devastanti, per crescere”. Rispetto ai social è evidentemente importante che i genitori conoscano la grammatica della comunicazione; che utilizzino forme comunicative migliori con i figli, cercando di trovare un linguaggio che riesca a parlare loro per davvero; costruiscano delle narrazioni; diano un ritmo al dialogo che corrisponda a quello dei ragazzi; utilizzino meno la tecnologie e più la creatività”.