"Nessuna paura se il lavoro cambia". La settimana sociale di Vittorio Veneto
La VI Settimana sociale diocesana di Vittorio Veneto si conclude con la serata sul tema "Il lavoro secondo papa Francesco", venerdì 9 febbraio alle 20.30: al cinema teatro Cristallo di Oderzo interverrà Marco Cagol, vicario episcopale della diocesi di Padova e responsabile della Commissione triveneta per la pastorale sociale e membro della Consulta nazionale di pastorale sociale presso la Cei.
Il settimanale diocesano L'Azione ha raccolto quanto è emerso da questa settimana di riflessione su "Il lavoro che vogliamo".
L'odore d’olio tipico della fabbrica, dell’officina, ha accolto i partecipanti alla prima serata della Settimana sociale diocesana, incentrata sul tema “Il lavoro che vogliamo”. È accaduto lunedì sera 5 febbraio nello stabilimento della Keyline spa, nel cuore della grande zona industriale di Conegliano-Vittorio Veneto, appena qualche ora dopo la fine della giornata lavorativa. Una scelta in linea con la celebre esortazione di papa Francesco ad “essere pastori con l’odore delle pecore”.
Immaginando che, anziché l’odore della fabbrica, si sarebbe potuto respirare e condividere l’odore di una stalla o quello della malta. E la scelta si è rivelata efficace anche per far “atterrare” tra i credenti della diocesi vittoriese i contenuti della Settimana sociale italiana di Cagliari, nell’ottobre scorso, insieme all’atteggiamento e il metodo emersi in quell’occasione, propositiva e orientata a promuovere le buone pratiche.
Il quesito scelto come tema della serata – “Quale lavoro?” – è il grande dilemma su cui si sta interrogando l’intera società, con la paura che la crisi e le nuove tecnologie lascino tanti senza un’occupazione. (…) Dallo stabilimento della Keyline è venuta una disamina realistica – a tratti anche impietosa – dei limiti che rendono critica la situazione del mercato del lavoro in Italia, in particolare riguardo al mondo giovanile.
Riguardo l’alto tasso di disoccupazione giovanile Francesco Seghezzi, direttore della fondazione Adapt, ha elencato alcune ragioni: c’è un problema di formazione adeguata, con lo scollamento tra la preparazione scolastica – anche per chi è arrivato alla laurea – e il mondo del lavoro; c’è una non disponibilità ad accettare il mondo del lavoro, con i suoi ritmi, orari, fatiche; e da parte della famiglia c’è una tendenza a “proteggere” i giovani.
Mariacristina Gribaudi, amministratrice unica dell’azienda ospitante, non è riuscita, nell’esordire sul tema, a trattenere il tono della voce nell’affermare che «bisogna pagare le donne come gli uomini!»; e che «all’estero c’è un esercito silenzioso di giovani che vogliono tornare!». E lei di figli ne ha ben sei. Ed ha fornito alcuni esempi concreti di quel che può fare un’impresa dove «prima vengono le persone, dopo la fabbrica»: andare incontro ai bisogni dei dipendenti con servizi come l’asilo nido o altri («il welfare aziendale è un guadagno»); l’accompagnamento di ogni giovane lavoratore da parte di un collega più anziano; incontri di tutta la fabbrica con cadenza bimestrale «per un confronto su dove stiamo andando» in modo che ci sia trasparenza e condivisione da parte di tutti; l’apertura dell’azienda al territorio; l’apertura sistematica della fabbrica a visite di scolaresche, in modo che i ragazzi scoprano questo mondo. (…)
Marco Bentivogli, segretario nazionale della Fim-Cisl, è andato al cuore della questione dell’avvento dell’Industria 4.0: «Quella della fine del lavoro è una fake-news. Non è vero niente. Anzi! È la poca tecnologia che distrugge le opportunità di lavoro. Siamo un Paese “tecnofobo”, che ha paura dei cambiamenti e delle nuove tecnologie. Per me, invece la tecnologia è un alleato dell’umanizzazione del lavoro, perché può evitare ai lavoratori mansioni pesanti o pericolose. La vera sfida è che la trasformazione non lasci scarti». (…)
L'articolo integrale di Franco Pozzebon è stato pubblicato sul settimanale diocesano L'Azione (nr. 6 – 11 febbraio 2018, pagina 5). Puoi scaricarlo in fondo a questa pagina.