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Il territorio non è una mappa e la mappa non è il territorio

    Il territorio non è una mappa e la mappa non è il territorio

    Esiste ormai una quantità di letteratura e di studi, nonché di modelli urbani, che incontrovertibilmente hanno posto al centro della loro riflessione, per la risoluzione dei problemi, la questione del limite.

    Le realtà urbane più vivibili - e guarda caso più ricche - sono quelle che hanno accettato tale sfida e fanno, del “darsi un limite”, l’occasione per il loro rilancio e successo.

    Senza addentrarci su questioni fondamentali, che rischiano purtroppo di non interessare, come i concetti di impronta ecologica, di entropia e di bioeconomia, è bene ribadire che, in tutti i sistemi complessi, dove interagiscono diverse azioni e tipologie di flusso non governate da una regia, si innescano fenomeni di inefficienza sistemica. Il mondo degli insetti ci insegna come, nel loro sistema, tali fenomeni siano sconosciuti.

    Qui si aprirebbe un capitolo molto stimolante, ma per ora, ci accontentiamo di ricordare che, tali sistemi “miniaturizzati” si organizzano ed agiscono comportandosi come una grande intelligenza olistica fortemente integrata al contesto di cui fa parte.

    Gli uomini no. Agiamo e ci comportiamo, rispetto al mondo degli insetti, in modo irrazionale e diseconomico. Il mondo degli insetti persegue obiettivi collettivi, noi no. Il mondo degli insetti interagisce velocemente ed efficacemente, noi no. Il mondo degli insetti è fortemente interconnesso e funzionalista, mentre il nostro è disarticolato, conflittuale e irrazionale.

    Un esempio eclatante di tale irrazionalità è la viabilità carraia urbana in contesti densi e plurifunzionali, la quale presenta sistematici punti di conflitto, rallentamento, densificazione, ecc.

    Tralasciando le condizioni a noi lontane dei contesti territoriali estesi, come le aree metropolitane americane ed asiatiche e focalizzando l’attenzione sulle realtà urbane più felici di matrice nord europea (*), si scopre che le città che hanno risolto meglio il problema del traffico privato sono quelle che hanno smesso di “assecondarlo”, promuovendo il trasporto pubblico e la viabilità ciclopedonale e supportando quello commerciale attraverso specifici percorsi, tecnologie e organizzazioni logistiche dedicate .    

    Molti di questi contesti vengono chiamati “aree metropolitane” ma, a ben guardare,  essi si presentano ancora con un buon tasso di biodiversità, ampie aree verdi, percorsi protetti e dedicati per la viabilità dolce, eccellente trasposto pubblico, organizzazione urbanistica e territoriale di primordine, ottima agricoltura di prossimità, forestazione urbana e un capitale sociale di elevata consapevolezza e cultura. La qualità della vita in tali contesti è la migliore del mondo (*) -fonti ONU-OCSE-.

     Riducendo il traffico viario pesante questi contesti socio territoriali hanno ottenuto:

    1- Riduzione significative delle morti dirette ed indirette -si rammenta che in Italia sono circa 85 mila l’anno e circa 500 mila in Europa-, per il solo inquinamento dell’aria-;2- Aumento dell’attività cardiocircolatoria e delle difese immunitarie grazie soprattutto alle piste ciclabili dedicate -riduzione della spesa sanitaria calcolabile tra il 20% e 25 %!!!-;3- Riduzione dei tempi di spostamento tenuto conto che un’automobile in zona congestionata percorre circa 8-10 km ogni ora;4- Aumento della resa lavorativa grazie alla maggiore attività fisica e al tempo che si libera durante il trasposto pubblico -connessioni wireless, accessi facilitati, possibilità di concentrarsi, ecc.-;5- Miglioramento della salute psicologica e riduzione dello stress;6- Riduzione dei morti per incidenti;7-.Risparmio economico grazie all’utilizzo dei mezzi pubblici rispetto al trasporto privato carraio -è sempre considerevole la percentuale di persone che scelgono il primo quando l’offerta è di qualità-;8- Riduzione degli aborti spontanei e dei feti deformi;9- Aumento delle attività economiche legate al turismo e alle attività ricreative;10- Innovazione nel campo della domotica, telerilevamento, mobilità elettrica, software, ecc.;11- Riduzione del teppismo e/o micro delinquenza;12- Aumento e/o massimizzazione dei valori immobiliari;13- Aumento delle aree dedicate a parco, alle infrastrutture vegetazionali e all’agricoltura di prossimità;14- Possibilità di pianificare, riconvertire e gestire le trasformazioni future grazie al minor tasso di infrastrutturazione carraia, ovvero maggiore resilienza. Possibilità di sviluppo plurifunzionale;15- Maggiore autonomia energetica grazie al teleriscaldamento da biomassa ricavabile da ambiti di agricoltura e/o forestazione di prossimità;16- Significativo aumento della vita media;17- Maggiore biodiversità, riduzione dei contaminanti sui terreni agricoli, maggiore protezione delle falde acquifere e dei corsi d’acqua nonché migliore qualità dell’aria;  18 -Riduzione dei costi di manutenzione delle reti infrastrutturali;

     I contesti che invece hanno perseguito la politica dell’aumento delle infrastrutture viarie pesanti per sorreggere simultaneamente il trasporto commerciale, personale e pubblico -ovvero l’infrastruttura plurifunzionale carraia-  hanno ottenuto:

    1- Nessuna gerarchizzazione funzionale e nessuna distinzione tra strade di percorrenza e strade di destinazione. Rafforzamento dell’inefficienza sistemica e della disorganizzazione. Incremento del disordine urbano;

    2- Peggioramento del capitale sociale e delle “competenze profonde”;

    3- Impossibilità a future  riconversioni socioeconomiche e agroalimentari, compromissione dei  processi di resilienza. Rafforzamento della territorialità monodimensionale;

    4- Riduzione degli investimenti nel campo dell’innovazione tecnologica come la domotica, il trasporto elettrico, le reti integrate, il telerilevamento, i software gestionali, il teleriscaldamento, ecc;

    5- Nessun miglioramento nei livelli di congestione del traffico;

    6- Miglioramenti minimi sui tempi di percorrenza, ma solo per ambiti circoscritti. Peggioramento assoluto in termini sistemici;

    7- Aumento delle morti e delle patologie da inquinamento da traffico;

    8- Aumento degli incidenti violenti;

    9- Incremento dei contaminanti su suolo, acqua e aria;

    10- Aumento della spesa sanitaria e riduzione della vita media;

    11- Aumento delle “isole di calore” e della temperatura media estiva;

    12- Aumento della micro delinquenza;

    13- Aumento degli aborti spontanei, delle malformazioni fetali e del ritardo mentale nei bambini;

    14- Maggiore rischio idrogeologico;

    15- Compromissione dei valori immobiliari;

    16- Minore attrattività turistico-ricreativa;

    17- Maggiore difficoltà nell’approvvigionamento agroalimentare. Riduzione dell’agricoltura di prossimità e della bioagricoltura;

    18- Aumento dei costi di gestione e/o manutenzione delle reti infrastrutturali.

    Un principio su cui è bene sempre riflettere, quando si tratta di valutare i “costi/benefici” delle infrastrutture pesanti, è il principio di non reversibilità. Ovvero che tali interventi permangono nel tempo e compromettono definitivamente il territorio.

    Diversamente, le modalità innovative nel campo della riorganizzazione tecnica e funzionale dei flussi, l’ottimizzazione delle reti e la loro integrazione, l’adozione di modelli trasportistici innovativi a basso impatto ambientale - tipici del nord Europa -, l’implementazione della viabilità dolce e l’accrescimento della maturità sociale e delle consapevolezze sui temi dell’innovazione urbana e della tutela ambientale, sono decisamente molto più sostenibili ecologicamente, economicamente e socialmente.

    Intervenire pertanto sulla territorialità con questo approccio vuol dire accettare la sfida del miglioramento socioeconomico ed ecologico della propria comunità.

    Di fatto questa è una sfida più difficile, perché prevede di attivare competenze e predisposizioni non comuni, per abbandonare il nostro immaginario monodimensionale ormai definitivamente colonizzato dalla primitiva cultura “dell’urbanistica del retino”.

    Le conoscenze e gli strumenti che abbiamo messo in atto sino ad ora sono stati totalmente inadeguati per rispondere alle sfide che la società ci chiede. Ovviamente stiamo già pagando, in modo salato, l’assenza di innovazione nel campo della pianificazione e gestione territoriale degli ultimi 60 anni.

    E’ evidente che, non essendoci stata un’adeguata programmazione nel lungo periodo, una sufficiente preveggenza socioeconomica e un’appropriata sensibilità ambientale, l’attuale condizione, tipica per altro di quasi tutto il Veneto, non può che dirsi drammatica.          

    L’attuale amministrazione di Treviso, che eredita una condizione compromessa, dovrà pertanto adottare politiche di lungo respiro, almeno ventennale, come insegnano le felici programmazioni delle città nord europee -vedi Amburgo–, per definire al meglio una strategia coerente e un’idea di territorio e di comunità all’altezza delle sfide che ci attendono.

    I modelli non mancano, le competenze e le visioni culturali innovative nemmeno. Serve in primis un atto di volontà e un obiettivo di senso. Abbiamo bisogno di significati e non di tecnicismo spiccio. Vanno attuati modelli e processi organizzativi e progettuali totalmente diversi dai tradizionali approcci cartografico-ingegneristici. Tale sfida non può che prescindere da un coinvolgimento  della collettività e dei suoi “soggetti intermedi”.

    Si dovranno ridefinire i ruoli all’interno dell’amministrazione pubblica, creando processi e piani di lavoro ampi e inclusivi, dove le cosiddette “competenze informali” possano esprimere tutta la loro creatività. 

    Arch. Roberto Ervas

    Team E5

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