Aria inquinata: quali interessi dietro i falò della Befana?
IN CONCOMITANZA CON I FALO' DEL 5 GENNAIO PM10 ALLE STELLE di Andrea Citron, presidente provinciale Acli
Fonte: dati Arpav Veneto
A novembre scorso ci chiedevamo: “Ma ci interessa quello che respiriamo?”. Purtroppo in questi primi giorni del nuovo anno abbiamo avuto la conferma che in fondo non interessa a nessuno. Non importa che l’aria che respiriamo sia pessima e non ci si preoccupa del fatto che tutto ciò abbia di sicuro dei riflessi negativi sulla nostra salute: soprattutto dei più piccoli e di chi già soffre per altre patologie.
Le prime due settimane del 2015 i livelli di concentrazione delle PM 10 e 2.5 (le polveri “killer” per la nostra salute) sono stati costantemente superiori ai 100 mg/ metro cubo in quasi tutta la provincia. Una concentrazione superiore alla soglia dei 100 mg/metro cubo fa definire la qualità dell’aria pessima. E siamo lontani da quel limite dei 50 mg/metro cubo al di sopra del quale convenzionalmente l’aria inizia ad essere scadente e potenzialmente dannosa alla nostra salute oltre che al nostro benessere fisico.
In questa situazione spicca l’immobilismo di quanti tra istituzioni, amministratori e politici avrebbero tra i loro compiti anche la salvaguardia e la tutela della salute pubblica. Alcuni sono a vantarsi del calo degli sforamenti (ad es. per Treviso 58 nel 2014 contro i 70 del 2013, comunque sempre abbondantemente sopra i 35 massimi consentiti all’anno) e citano provvedimenti estemporanei che avrebbero influito sul risultato positivo. Nessuno ha il coraggio di ammettere che l’unica vera causa della riduzione sta in un 2014 particolarmente piovoso e mite.
Siamo quindi ridotti a sperare in continui inverni miti, piovosi o perlomeno variabili e dinamici per poter respirare. Del resto la Pianura Padana non da scampo: è un “catino” con scarso ricambio d’aria specie nei mesi invernali.
Oltre a fare poco o nulla per porre limiti a tale problema, come già ampiamente sottolineato in precedenti interventi, troviamo anche il modo per ingigantirne gli effetti, del tutto incuranti del fatto di vivere già in una tra le Regioni più inquinate d’Europa e che si stimino nell’ordine delle decine di migliaia all’anno le vittime premature in Italia a causa delle polveri sottili (distribuite specialmente tra Lombardia, Emilia Romagna e Veneto). Molte di più di quelle che sta mietendo un virus terribile come Ebola in Africa Occidentale.
Non facciamo abbastanza per combattere le numerose combustioni illegali, fai da te, da parte di privati per eliminare rifiuti, in particolar modo di residui vegetali in agricoltura, spesso ricchi di pesticidi e additivi chimici. Ma arriviamo pure a concedere, in nome della tradizione, una deroga per la notte dell’Epifania alle combustioni a cielo aperto. Non servono i dati delle centraline Arpav a certificare che in quella notte viene bruciato di tutto e da moltissimi soggetti contemporaneamente. Ce ne accorgiamo semplicemente respirando sia all’aperto che nelle nostre abitazioni. Molti gli eco-furbi che sanno quanto siano difficili se non impossibili i controlli con le migliaia di accensioni in contemporanea disseminate su tutto il territorio della provincia. E così in una notte arriviamo a toccare questi picchi massimi (dati Arpav 5-6 gennaio 2015): Oderzo-Mansuè 730 mg/metro cubo, Conegliano 590 mg/metro cubo, Treviso 450 mg/metro cubo.
Siamo dieci, dodici volte sopra i livelli massimi di concentrazione consentiti. Arriviamo a superare le aree più inquinate del pianeta. Difficile pensare che tutto questo poi si dissolva magicamente in una notte mentre siamo comodamente distesi sui nostri letti a dormire e non vada a deteriorare ulteriormente una situazione già di per sé drammatica. Mentre fanno sorridere alcuni commenti che tranquillizzano in quanto i picchi massimi d’inquinamento si verificano di notte: le polveri killer ci raggiungono anche in casa, non basta barricarsi dentro, a meno che non si disponga di una casa perfettamente sigillata e isolata dall’esterno. Purtroppo lo standard delle nostre abitazioni è lontano dal garantire tali livelli di isolamento.
Perché, per salvaguardare una tradizione, non porre semplicemente dei limiti numerici alle accensioni? Per rendere tra l’altro possibili i controlli su quanto viene bruciato e quelli atti a scovare gli eco-furbi?
Penso che i nostri tanti politici e amministratori troverebbero in ogni caso un qualche panevin da inaugurare con la prima favilla! Penso che, dati alla mano, non sia da folli pensare prima alla salute di tutti e poi a come tutelare una bella tradizione, che deve però calarsi nel tempo in cui viviamo. Lo insegnano le campane del Duomo della mia città d’origine (in provincia di Treviso), oggi mute dalle 22.00 alle 7.00 e limitate al minimo per le celebrazioni, per inquinamento acustico. Io, nato all’ombra del campanile, per trent’anni c’ho convissuto senza subirne danni evidenti; oggi tacciono e con loro la tradizione di tutte le ore del giorno, di tutte le funzioni religiose da esse scandite. Non mi risulta che nessun politico, nessun sociologo o altro si sia lamentato di questa tradizione andata perduta. Forse dietro ai falò si nasconde un interesse maggiore per alcuni? Che va ben oltre la tradizione?
Oltre al danno la beffa: l’Italia è stata condannata il 19 dicembre 2012 dalla Corte di Giustizia dell’ UE per la violazione della Direttiva Comunitaria sulla qualità dell’aria, quindi come nazione siamo dei “pregiudicati” proprio su una materia strettamente connessa con la nostra salute. A luglio 2014 nei nostri confronti è stata inoltre aperta una nuova procedura di infrazione dalla Commissione europea sempre per la violazione della direttiva sulla qualità dell’aria. Da sottolineare che le sanzioni europee arrivano solo in caso di recidiva e la seconda sentenza di condanna è oramai vicina. Quindi oltre ad avere un danno sulla nostra salute ci troveremo anche a dover pagare di tasca nostra questi continui sforamenti. Non sarebbe meglio investire questi soldi (e quelli purtroppo necessari per cure sanitarie di patologie strettamente legate all’inquinamento) per innescare cambiamenti virtuosi all’insegna dell’ “ecologicamente corretto”, che ci permettano di cambiare marcia e magari creare nuovo slancio economico e nuovi posti di lavoro?
Cambiare è possibile se tutti ci convinciamo del danno che stiamo subendo e del fatto che solo lo sforzo di ciascuno di noi e probabilmente qualche rinuncia ci possono condurre verso uno stile di vita più compatibile con l’ambiente in cui viviamo. L’amore per la nostra terra è anche portarle rispetto al di là della tradizioni.