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"La conversione ecologica non è rinviabile", intervista ad Andrea Citron

    "La conversione ecologica non è rinviabile", intervista ad Andrea Citron

    "Dobbiamo prima di tutto riconoscere il legame imprescindibile che esiste tra l’equilibrio della natura e la sopravvivenza dell’uomo, da qui il nostro impegno e la massima attenzione alla cura di quella casa comune che oggi è a un passo dal non poterci più garantire quell’accoglienza necessaria alla nostra vita.

    Un impegno, non più rinviabilem che ci porta a fare nostre le parole del Papa che ci ricorda che “siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre affinché il nostro pianeta possa essere quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza”.

    Con queste parole si apre l'intervista che Benecomune.net ha fatto ad Andrea Citron, presidente delle Acli del Veneto e delegato dalla Direzione nazionale Acli alle questioni ambientali.

    Ne riportiamo alcuni stralci, il testo integrale CLICCANDO QUI.


    Quale è il pensiero delle Acli e gli obiettivi che si pone l'associazione rispetto alle urgenze poste dall'ambiente?

    Ambiente e sviluppo non sono due questioni contrapposte, ma devono procedere insieme per il bene di tutti noi. Ecco perché, attraverso la nostra presenza capillare su tutto il Paese, possiamo promuovere un deciso cambio di marcia in grado di avvicinarci ad una vera conversione ecologica, ascoltando così il grido di aiuto che ci viene dalla Terra e dagli ultimi delle nostre società, i poveri, coloro che più di tutti soffrono, in ogni parte del mondo, gli effetti di uno sviluppo non più sostenibile.

    Questi temi che ci legano alla promozione dell’economia circolare, nella convinzione che il tradizionale modello economico lineare, fondato sullo schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare” non sia più possibile. Per questo ci stiamo impegnando, insieme ad altri, verso una progettualità che punta ad estendere il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti e lo spreco. Da ultimo serve contrastare energicamente e senza perdere ulteriore tempo quel degrado socio-ambientale che negli ultimi due anni si è intrecciato e rafforzato con i drammatici fenomeni pandemici legati alla diffusione del Covid 19.

    Sviluppo, progresso, ecologia integrale: come orientarsi?

    Ciò che è necessario è una vera transizione ecologica che possa trasformare in sostenibili alcuni presupposti di fondo del nostro modello di sviluppo e rinnovare i nostri stili di vita sia nelle relazioni interpersonali che nel rapportarci con la madre terra. Dobbiamo esser capaci di cambiare in profondità il nostro esser parte di questo pianeta, consapevoli dell’urgenza, per salvaguardarlo, di realizzare quella conversione ecologica verso cui ci sprona il VI capitolo della “Laudato Sì”.

    Il cambiamento climatico continua ad avanzare con danni sempre più visibili e insostenibili. L’ultimo rapporto IPCC sullo stato delle conoscenze fisico-scientifiche sui cambiamenti climatici mostra, con più forza dei precedenti, che i cambiamenti climatici già in corso ed evidenti in tutto il pianeta, sono inequivocabilmente causati dalle attività umane e implicano fenomeni di portata millennaria oramai irreversibili, come la de-glaciazione e l’aumento dei livelli marini.

    La prima risposta a questi inviti ad agire per la terra è la consapevolezza che tutti possiamo contribuire, che nessuno è escluso da questo richiamo alla conversione ecologica. Anche ogni piccolo contributo a ridurre la nostra impronta ecologica, a rendere il nostro stile di vita più sostenibile è un utile aiuto alla causa della salvaguardia del pianeta. Mentre a livello di politiche globali di lotta al cambiamento climatico sono alcuni i punti su cui dobbiamo insistere in quella che non deve sembrarci una battaglia ormai persa e per questo inutile. Come cristiani sappiamo “che c’è sempre una via d’uscita, che possiamo sempre cambiare rotta” (Laudato sì, 61). In particolare dobbiamo portare a compimento l’impegno ad azzerare entro la metà del secolo le nostre emissioni, contenere l’aumento delle temperature entro il grado e mezzo, accelerando l’eliminazione del carbone, riducendo la deforestazione ed incrementando l’utilizzo di energie rinnovabili.

    La Cop di Glasgow ha fallito?

    A Glasgow per la prima volta viene riconosciuto che l’obiettivo delle politiche climatiche deve essere quello di mantenere la temperatura globale entro un aumento massimo di 1.5°C rispetto all’epoca preindustriale. Solo 6 anni fa, con l’Accordo di Parigi, ci si era proposti come obiettivo i 2°C: indubbiamente aver portato tutte le nazioni presenti ad un impegno più stringente può essere considerato a ragione un ottimo segnale.

    Certo già oggi viviamo, drammaticamente, un incremento medio di 1.1°C; questo significa che le politiche climatiche dei vari paesi dovranno essere aggiornate alla luce di tale riferimento, essendo evidente che con quanto previsto l’obiettivo del grado e mezzo di incremento non potrà essere rispettato.

    Va evidenziato, inoltre, che a Glasgow per la prima volta nelle conferenze sul clima delle Nazioni Unite si è espressamente citato il carbone quale combustibile più dannoso. Certo il passaggio all’ultimo minuto nel testo dal “phasing out” (eliminazione) al “phasing down” (limitazione) del carbone, imposto dall’India, non ci permette di parlare di un risultato storico, ma è altrettanto evidente che Paesi come India, Cina, Sud Africa e Australia, e le “europee” Serbia e Polonia, che dipendono dal carbone per il 60-80% della generazione elettrica, hanno bisogno di tempo per eliminarne l’uso e convertirsi sulle fonti rinnovabili.

    Altro risultato positivo della Conferenza è l’aver stabilito lo stop alla deforestazione entro il 2030. Decisione molto ampia cui hanno aderito fra gli altri anche la Cina e la Russia, con un impegno di 12 miliardi di dollari per la riforestazione a livello mondiale, in particolare in Amazzonia, nel bacino del Congo e in Indonesia. L’impegno del G20 fatto proprio dalla COP26, è quello di piantare mille miliardi di alberi nei prossimi anni.

    E la settimana sociale di Taranto cosa ci consegna?

    Mi soffermo, tra le mote emerse, su due possibili azioni di conversione e di generatività futura per le nostre strutture di base e le tante realtà che ruotano attorno al sistema Acli.

    La prima è la costruzione dicomunità energetiche. Nel nostro Paese vi è una quota ancora troppo limitata di produzione di energia da fonti rinnovabili. Le comunità energetiche attraverso le quali gruppi di cittadini o di imprese diventano produttori di energia, che in primo luogo permette di ridurre i costi in bolletta anche vendendo in rete le eccedenze prodotte, sono una grande opportunità dal basso per provare a superare questo limite. Queste sono, inoltre, un’occasione per rafforzare i legami interpersonali tra cittadini, che condividendo scelte concrete in direzione del bene comune trovano il modo di saldare conoscenze e appartenenze associative e parrocchiali. Come Acli possiamo impegnarci affinché più circoli presenti in tutta Italia prendano in considerazione di avviare un progetto e diventare quindi comunità energetiche.

    La seconda azione è quella della finanza responsabile. Nella Laudato si’ Papa Francesco parla di uscire progressivamente dalle fonti fossili. Possiamo spingere affinché le nostre Acli e gli aclisti sparsi in ogni angolo del Paese diventino “carbon free” nelle loro scelte di gestione del risparmio utilizzando il loro voto col portafoglio per premiare le aziende leader nella capacità di coniugare valore economico, dignità del lavoro e sostenibilità ambientale coerentemente con le numerose prese di posizione nella dottrina sociale della Chiesa che evidenziano il ruolo fondamentale del consumo e del risparmio sostenibile come strumento efficace di partecipazione di tutti alla costruzione del bene comune. Anche questa sarebbe un’importante azione dal basso di sostegno alla lotta al cambiamento climatico.

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira