Quale lavoro e quale comunità a partire da domani?
Il richiamo del Nostro Vescovo Mons. Michele Tomasi al “Non ci salviamo da soli” mai come in questo momento rinnova la ragion d’essere delle Acli, un’organizzazione come la nostra che fonda la propria essenza nella dimensione collettiva e plurale a tutela del lavoro e dei diritti di chi lavora. In un passato abbastanza recente è capitato molto spesso di ripeterci tra aclisti che “in fin dei conti le Acli sono lo specchio della società in cui viviamo” con tutte le rispettive miserie e gioie.
Confesso che questa considerazione suonava come la magra consolazione alla frustrazione percepita da alcuni di noi incapaci di avviare reali cambiamenti di paradigma e, quel che è peggio, incapaci di riuscire ad immaginare possibili percorsi innovativi. Tradiva un po’ di spirito di rassegnazione. Oggi il nostro essere “specchio della società in cui viviamo” assume una connotazione completamente diversa, il cambiamento è imposto da un evento imprevisto e dirompente che ci ha richiesto di fermarci, distanziarci e ripensare il modo con cui ci relazioniamo con gli altri, per proteggerci e per proteggere. Ecco allora come un’esperienza collettiva come quella associativa può rappresentare un piccolo laboratorio di sperimentazione, all’interno del quale si cerca di validare le proprie azioni in tempo di pandemia e in vista di una imminente (auspichiamo) fase 2. Anche nel nostro lo caso lo si fa solo procedendo per cerchi concentrici, un po’ come fa la comunità scientifica.
Ci siamo chiesti come riuscire a garantire continuità operativa alle persone che lavorano con noi, rispettando i vincoli normativi senza però rinunciare a progettare con una prospettiva futura. Ancora, ci siamo chiesti come riuscire a mantenere una relazione di vicinanza con i nostri associati e utenti dei servizi, ben consapevoli del fatto che siamo un’organizzazione adulta e che molta parte della nostra gente non ha dimestichezza con gli strumenti informatici. E in fine ci siamo ripetuti senza stancarci mai, che non vogliamo rinunciare alla possibilità di svolgere il nostro grande compito : la promozione sociale della persona.
Stiamo procedendo per cerchi concentrici a partire da Noi delle Acli per arrivare a quel Tutti Noi comunità che ci permetterà di salvarci.
Quali sono le caratteristiche di questo nuovo modo di operare? La condivisione, la competenza e la creatività. Decidere in gruppo e in condivisione è difficile, tanto più se si tratta di un gruppo con competenze eterogenee, talvolta rallenta i processi decisionali e soprattutto presuppone un cambiamento di abitudini a cui è umano reagire con una buona dose di resistenza. Tuttavia, di fronte ad uno scenario che muta in continuazione con contorni poco chiari, l’unico approccio possibile è mettere a frutto i saperi (la competenza) per elaborare il maggior numero di ipotesi immaginabili (la creatività) per arrivare ad una sintesi che ci convinca (la condivisione) ed esprima in chiave innovativa gli stessi valori fondanti del nostro agire, anche e soprattutto in periodo di crisi.
E qui veniamo al senso profondo del lavoro, qualunque sarà la modalità attraverso cui si esprimerà in futuro, non possiamo scordare che il lavoro è espressione di sé, il lavoro è socialità, il lavoro è creatività tutti questi elementi considerati assieme contribuiscono a creare comunità.
Le Acli, il terzo settore, gli imprenditori, i datori di lavoro, i lavoratori e la comunità tutta hanno una grande responsabilità: tutelare il lavoro nella sua accezione più ampia. Lo si è fatto ieri con il lock down, continueremo a farlo oggi utilizzando i DPI (dispositivi di protezione individuale) e attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma tutto ciò non avrà alcun senso se non avremo il coraggio di pensare al lavoro che vogliamo a partire da domani. Un lavoro che contribuisca a costruire comunità sane ed accoglienti, che restituisca dignità a coloro i quali è stata sottratta che si prenda cura del creato e delle proprie creature.