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La croce è la ragione della nostra speranza

    La croce è la ragione della nostra speranza

    A diciotto anni ho iniziato a salire a Taizé, la comunità monastica fondata da frère Roger Schutz. Con alcuni amici si partiva la domenica delle palme e si viveva l’intera settimana santa sulla collina in Borgogna. Ricordo la liturgia del venerdì santo al termine della quale vi era la lunga preghiera notturna davanti alla croce, la liturgia della luce del sabato santo che illuminava a giorno i grandi tendoni e la Chiesa della Riconciliazione, la festa della domenica di Pasqua che finiva sempre, immancabilmente, con il canone "Jubilate Deo" e le danze infinite fuori dalla chiesa. Mi tornavano allora alla mente le parole della poesia di padre Turoldo: "Andrò in giro per le strade zufolando, così, fino a che gli altri dicono: è pazzo!".

    Dov'è finita la speranza cristiana?

    Così mi sembrava la Pasqua vissuta a Taizé: una festa fondata sul Cristo Risorto che dava senso e gioia all’esistenza. Nel corso degli anni ho sperimentato il limite e la fatica e, come tutti, ho fatto i conti con la sofferenza e la morte di persone care. Ma della Pasqua mi sono tenuto il ricordo di quelle danze, la convinzione che è possibile consegnare al Signore anche la più grande debolezza, certo che l’accoglierà. Me lo ricordava spesso un amico carissimo, Paolo Giuntella, per molti anni quirinalista del Tg1. "La questione centrale," scriveva a pochi mesi dalla morte, "è se restare come citrulli repressi ai piedi della croce, anche dopo la Risurrezione, o se invece prendere la via di Emmaus e andare a festeggiare la rivincita sulla morte e l’apertura della strada verso la felicità". Certo, non significa, per un credente, dichiararsi felice, quasi per contratto, ma possibile che non si sappia mostrare una differenza? Che ne è stato della speranza cristiana? Non è forse che l’ha persa il mondo, e a noi si è quantomeno sbiadita?

    Tutti i crocifissi del mondo

    Me lo sono chiesto a lungo uscendo, la settimana scorsa, dal campo di Auschwitz. E mi sono risposto: la croce è la ragione della nostra speranza. Perché la croce fiorirà. Non solo perché questa ha un termine: da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio. Al di fuori di quell’orario – lo ripeteva spesso don Tonino Bello – c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, amava dire, "ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio". Ma perché quel giorno sarà la grande rivincita di tutti i crocifissi con Gesù sulla croce nel corso dei secoli ed oggi nei nostri giorni. Questo enorme corteo di persone inchiodate sulla Croce di fronte ai nostri occhi che non vogliono vedere. Una litania infinita che l’amico Paolo Giuntella ricordava cosi: "Bambini morti di Aids, di fame, per mancanza di medicine. Prostitute ridotte in schiavitù sulle nostre strade. I cadaveri ammassati lungo il ciglio delle strade del mondo, dispersi nell’aria dalle bombe del mondo, conficcati nelle viscere della terra, i cadaveri di tutte le guerre africane, dalla Sierra Leone al Congo, dalla Liberia alla Costa d’Avorio, dal Sudan ai cantieri di morte appena chiusi, formalmente, da paci parziali. E sulle strade dell’Iraq, dell’Afghanistan, sulle piazze e le strade dove camminò l’ebreo palestinese Gesù. Gli innocenti violati dalla violenza, la malvagità senza scrupoli dei tanti erode nostri contemporanei. I milioni di poveri dei paesi ricchi e opulenti, i milioni di famiglie che vivono tirando la cinghia fino a non farcela più, i licenziati a 40 o 50 anni, i condannati alla servitù del lavoro a tempo determinato. Gli innocenti, ostie viventi tra di noi, vinti dalla malattia, dall’handicap, dalla depressione".

    Il presepe di Pasqua

    Insomma, questo immenso popolo di crocefissi è il nostro "presepe" di Pasqua. Il corteo che attende la sua liberazione, la sua consolazione. Il corteo con il quale anche noi "sani" o "vivi" a tempo determinato, ci mischiamo per attingere alla fonte della speranza. La croce che un giorno fiorirà è il nostro pozzo di Giacobbe, la fonte del realismo della vita e dell’utopia dell’Eterno. La roccia – scriveva ancora Paolo poco prima di morire – "che ci permettere di suonare e cantare, di danzare e persino ridere, ai piedi della Croce. La fioritura che ci trasforma la faccia di musoni tristi e moralisti, nel volto solare dei salvati".

    Che sia cosi per tutti noi! Auguri pasquali.

    di Daniele Rocchetti, delegato nazionale per la Vita Cristiana

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    Una famiglia deve avere una casa dove abitare, una fabbrica dove lavorare, una scuola dove crescere i figli, un ospedale dove curarsi e una chiesa dove pregare il proprio Dio

    Giorgio La Pira