Molti lavoratori confondono il periodo di prova con un contratto a termine, credendo che spesso coincidano. Oppure ritengono legittima la richiesta di del datore di lavoro di andare a “provare” prima della stipula del contratto stesso.
Facciamo chiarezza.
In ogni contratto di lavoro dipendente, sia esso a termine o a tempo indeterminato, le parti possono prevedere un periodo di prova per consentire di valutare la convenienza del rapporto di lavoro.
Ciò significa che nella lettera di assunzione può essere previsto un periodo di prova. Al fine della sua validità il patto di prova deve essere scritto e sottoscritto contestualmente all’assunzione. Se il patto viene fatto sottoscrivere successivamente è nullo.
La durata della prova indicata nella lettera di assunzione può essere definita in giorni di calendario o in giorni di effettiva prestazione lavorativa. In questo ultimo caso non sono computabili i giorni di sospensione del rapporto di lavoro (malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, permessi, sciopero, ecc). Per legge la durata massima è di 6 mesi salvo diversa previsione del Contratto Collettivo applicato all’azienda.
Durante tale periodo le parti hanno gli stessi diritti e doveri previsti nel normale svolgimento di un rapporto di lavoro e sono garantite le stesse condizioni economiche con la maturazione degli istituti indiretti.
La differenza sostanziale è che durante questo periodo, sia l’azienda sia il lavoratore possono recedere dal contratto senza bisogno del preavviso o indennità. L’azienda inoltre non deve addurre una giusta causa o un giustificato motivo al recesso.
Se alla scadenza del periodo di prova il datore di lavoro ritiene che la prestazione sia stata soddisfacente può confermare in servizio il lavoratore senza tuttavia necessità di alcuna comunicazione scritta. Basta far continuare l’attività lavorativa oltre la scadenza prefissata della prova.
Qualora si voglia interrompere il rapporto prima della scadenza, il datore di lavoro comunicherà il licenziamento durante il periodo di prova, mentre il lavoratore potrà dimettersi con una semplice lettera scritta consegnata al datore. In tale caso specifico non sono necessarie le dimissioni telematiche.
Sottolineamo che anche le lavoratrici madri durante la gravidanza e fino all’anno di età del bambino possono essere licenziate in caso di esito negativo della prova.
Il licenziamento intimato durante il periodo di prova può essere contestato da lavoratore quando:
- le mansioni affidate al lavoratore non sono state indicate in modo puntuale e pertanto non è stato possibile per il lavoratore comprendere in quale attività dimostrare le sue capacità e competenze. Su questo tema con sentenza del 14 gennaio si è espressa la Cassazione che ha sancito che al fine di rendere specifico il patto di prova è necessario, oltre all’indicazione del contratto collettivo applicato, che siano precisamente individuate le mansioni affidate e sulle quali sarà valutato il lavoratore;
- il lavoratore è stato addetto a mansioni diverse da quelle contrattualmente definite;
- il periodo di prova non è stato apposto per iscritto all’atto dell’assunzione;
- non è stato consentito il reale svolgimento dell’attività lavorativa durante il periodo di prova;
- il recesso è dovuto a motivi illeciti (ad esempio per ragioni discriminatorie) o estranei al rapporto di lavoro.
Ricordiamo che la volontà di impugnare il licenziamento deve essere manifestata con atto scritto entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso.
Si riceve su appuntamento telefonando al numero del Patronato Acli di Treviso 0422 1836144 o scrivendo alla mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.